Diuretico che aiuta ad eliminare gli accumuli di tossine responsabili tra l’altro del dolore reumatico.

Il nome scientifico Sambucus nigra sembra derivare dal greco sambike, uno strumento musicale fabbricato con i rami della pianta svuotati del midollo, oppure dal latino sambuca a sua volta di origine orientale, termine che indicava uno strumento musicale a corde, che designò in seguito strumenti a fiato. L’appellativo specifico deriva dal latino niger che significa nero, con riferimento al colore dei frutti.

La zona sottocorticale (cambio) era usata nella medicina popolare per fare unguenti cicatrizzanti per curare le ustioni.
Il succo ricavato dai frutti era impiegato per tingere il cuoio e come inchiostro per scrivere.
Il legno era usato per costruire cerbottane e fischietti, mentre il midollo era impiegato nella fabbricazione di materiale da laboratorio, come i miscroscopi.

La corteccia fresca e i frutti immaturi sono tossici e provocano nausea, vomito, diarrea, mal di testa e difficoltà respiratorie. Messa fresca sugli occhi cura il glaucoma.
Il decotto ricavato dai germogli placa le nevralgie.
Le foglie, usate come impacco, curano le malattie della pelle e le scottature, seccate e ridotte in polvere fermano l’epistassi.
I fiori freschi sono usati per un infuso depurativo, per curare bronchiti, febbre e costipazione; ad uso esterno sono impiegati per scottature ed emorroidi. Sono ottimi consumati in frittate e frittelle, o in insalate e macedonie.
Dall’estrazione dei loro principi attivi si ricava una lozione emolliente, astringente e decongestionante.
Secchi sono usati per aromatizzare vini, liquori, amari e aceto. La bevanda più conosciuta prodotta con le bacche è la “sambuca romana”.
Il decotto ricavato dalla radice pestata e bollita cura la gotta. Dal midollo si ricava una pappa che, mescolata a miele e farina, attenua il dolore delle lussazioni.

Dai frutti, ricchi di vitamina C, (di cui gli uccelli ne vanno ghiotti) si ricavano marmellate e distillati e uno sciroppo per le infiammazioni dell’apparato respiratorio, nonché una tintura nera per colorare i capelli e un succo per la cura delle nevralgie e dei crampi allo stomaco.
Dalle foglie si ricava una tintura verde, dalle corteccia una nera, e dai fiori una lilla o blu.

Ha proprietà antiedematose, diuretiche, lassative, sudorifere, pettorali, rinfrescanti, galattogoghe, antivomitive, antinevralgiche.

Presso i Germani questa pianta era chiamata “albero di Holda”, dal nome di una fata benevola che abitava nei sambucheti presso le acque delle fonti, dei laghi e dei fiumi.
Sempre presso questa tradizione si pensava che i folletti abitassero tra i suoi cespugli.
Nelle leggende germaniche il flauto magico era ricavato da un legno di sambuco a cui era stato tolto il midollo; i suoni che ne uscivano proteggevano da sortilegi e malocchi, come testimoniato nell’omonima opera di Mozart.

Un tempo il sambuco veniva piantato intorno alle fortezze, ai masi di montagna e a i monasteri per tenere lontane le serpi e le malattie.
Nella tradizione popolare i ferri dei cavalli venivano strofinati con le foglie di sambuco per preservarli dalla ruggine e per evitare che l’animale venisse morso dai serpenti.
I contadini Tirolesi, che chiamavano questo arbusto “farmacia degli Dei”, avevano l’usanza di inchinarsi 7 volte davanti ad esso per ringraziarlo dei suoi doni.

In Serbia durante i matrimoni si portava un bastone di questo arbusto come segno beneaugurante, mentre in Lettonia vi era la credenza che sotto le sue radici dimorasse Puschkaitis, dio della Terra.
Nella tradizione cristiana veniva usato nei viaggi funerari come accompagnamento nell’aldilà.

Nel calendario dei Celti, il sambuco rappresenta il tredicesimo mese che si conclude nei giorni del solstizio invernale. Essendo legato al numero tredici, rappresenta quindi anche la morte nel perenne ciclo di trasformazione e rinnovamento.
Insieme con il nocciolo, la quercia, il salice, il sorbo, la betulla, il biancospino, il tasso ed il ginepro, era una delle piante bruciate nei falò di Beltane, sacra nella tradizione druidica.

Dal libro inedito sulle Piante officinali di Federica Spaziani
Foto di Federica Spaziani