Sambuco
Sambucus nigra L.
Famiglia: Caprifoliaceae

Il nome del genere sembra derivare dal greco sambike che era uno strumento musicale fabbricato con i rami della pianta svuotati del midollo, oppure dal latino sambuca a sua volta di origine orientale, termine che indicava uno strumento musicale a corde, che designò in seguito strumenti a fiato.
L’appellativo specifico deriva dal latino niger che significa nero, con riferimento al colore dei frutti.

Presso i Germani questa pianta era chiamata “albero di Holda”, dal nome di una fata benevola che abitava nei sambucheti presso le acque delle fonti, dei laghi e dei fiumi.
Sempre presso questa tradizione si pensava che i folletti abitassero tra i suoi cespugli.
Nelle leggende germaniche il flauto magico era ricavato da un legno di sambuco a cui era stato tolto il midollo; i suoni che ne uscivano proteggevano da sortilegi e malocchi, come testimoniato nell’omonima opera di Mozart.

Nella medicina popolare la zona sottocorticale (cambio) era usata per fare unguenti cicatrizzanti per curare le ustioni.
Il succo ricavato dai frutti era impiegato per tingere il cuoio e come inchiostro per scrivere.
Il legno era usato per costruire cerbottane e fischietti, mentre il midollo era impiegato nella fabbricazione di materiale da laboratorio, come i miscroscopi.

Un tempo il sambuco veniva piantato intorno alle fortezze, ai masi di montagna e a i monasteri per tenere lontane le serpi e le malattie.

In Svezia le donne incinte erano solite baciare questa pianta per avere una buona gravidanza.
I contadini Tirolesi, che chiamavano questo arbusto “farmacia degli Dei”, avevano l’usanza di inchinarsi 7 volte davanti ad esso per ringraziarlo dei suoi doni.

Nella tradizione popolare i ferri dei cavalli venivano strofinati con le foglie di sambuco per preservarli dalla ruggine e per evitare che l’animale venisse morso dai serpenti.
In Serbia durante i matrimoni si portava un bastone di questo arbusto come segno beneaugurante, mentre in Lettonia vi era la credenza che sotto le sue radici dimorasse Puschkaitis, dio della Terra.
Nella tradizione cristiana, invece, veniva usato nei viaggi funerari come accompagnamento nell’aldilà.

Nel calendario dei Celti, il sambuco rappresenta il tredicesimo mese che si conclude nei giorni del solstizio invernale. Essendo legato al numero tredici, rappresenta quindi anche la morte nel perenne ciclo di trasformazione e rinnovamento.
Insieme con il nocciolo, la quercia, il salice, il sorbo, la betulla, il biancospino, il tasso ed il ginepro, era una delle piante bruciate nei falò di Beltane, sacra nella tradizione druidica.

Dal libro inedito sulle Specie spontanee di Federica Spaziani